Salutiamo questo mese un po’ anomalo, causa emergenza in cui tutti siamo stati coinvolti, con tre poesie, che abbiamo rinominato “Poesie Marzoline”.
Ciao Marzo, sei stato un mese davvero <<pazzerello>> quest’anno, non hai smentito la tua natura originaria…
ERA QUELLA LUNGA VIA CHE ARRIVAVA A CASA
Era quella lunga via che arrivava a casa,
il mio amore per te.
Aveva inizio
camminando insieme mano nella mano
Ebbe fine
arrivando in fondo
alla costrizione di dover dirti un langue 'ciao'
tra quelle maledette lacrime.
Era quella lunga via che arrivava a casa,
quella lingua di asfalto
che correva attorno alla collina,
abbracciata ai lati da macchie d'erba,
abbandonate al loro destino
di smog e polvere.
Era quella lunga via che arrivava a casa,
il mio amore per te.
Quella via
costipata
dai nostri ricordi giovani,
dalla nostra estate perfetta,
dalla nostra ingenua gioventù.
VUOTO
Vuoto il tuo letto,
Vuoto il tuo sorriso, che ho perso per sempre
Vuoto il cosmo,
il nostro spazio,
la nostra orbita,
che condividevamo senza egoismo e gelosia
Ho sognato di andare incontro al vuoto,
una massa di polvere nera,
che mi faceva entrare, senza opposizioni.
Ho sognato di vederti in fondo a quel vuoto.
Là tu mi aspettavi.
Una figura sottile, piccola,
ma dall'aspetto inesorabile.
Una flebile presenza, tanto tiepida,
quanto seria e imperturbabile.
Un incontro atteso.
In quello stesso cosmo,
che ora pare solo buio e perdita.
Io vengo incontro
Io fluttuo verso
Io mi avvicino ancora e ancora di più.
È un moto che non posso controllare,
È una meta che vive dentro di me da sempre.
Il tuo maledetto vuoto oggi mi conquista.
Doveva essere così.
Doveva andare così.
Il nero sembra pece.
L'oscurità è ormai attorno alle mie membra.
Ma finalmente ti rivedo ed ora è pace dentro di me.
BASTA CHE
Mi piace vedere scorrere...
Lo scroscio dell'acqua,
il fluttuare delle nuvole attraverso un cielo azzurro,
lo sfrigolio dell'asfalto sotto le ruote della macchina.
Tutto in divenire.
Tutto un cambiamento.
Evolversi verso nuove forme, nuovi stati, nuovi colori.
Basta che si scorra
Basta che si superi e si divenga
Basta che si stia in movimento
Testa all'insù,
mentre il treno corre sui binari
e le nuvole con lui
e il cielo con me.
Verso il raggiungimento di un mondo
sconosciuto
che ci porterà alla rivoluzione,
al cambio di pelle,
alla mutazione dei pensieri e delle parole.
Si va, sì scorre.
Siamo tutti pescetti
e piccole tartarughe
e cavallucci marini
e rondini
e gabbiani
e aironi.
Tutti coinvolti
in questo movimento di tensione,
che non ci fa arrivare.
Ci porta, ma non ci ferma,
Ci trasporta, ma non ci trattiene in sosta
Ci permette di viaggiare,
ma di esplorare quanto basta
in modo da continuare a seguire il movimento
che non può fermarsi una volta innescato.
ho finito stasera di leggere un libro meraviglioso: “La storia di un matrimonio” di Andrew Sean Greer, scrittore di fama internazionale, vincitore del Pulitzer Prize For Fiction nel 2018 con il libro “Less”.
“La storia di un matrimonio” è un libro intimo e schietto, fin dall’inizio, segno distintivo, secondo me, dell’intera storia.
Iniziamo però a delineare i 3 punti caratteristici della #recensioneblue di oggi:
1) LA TRAMA. La protagonista, Pearlie, moglie attenta e diligente, racconta in prima persona la storia del suo matrimonio con il bel marito Holland Cook. Ci troviamo nel dopoguerra della Seconda guerra mondiale, di fronte ad un’America un po’ ammaccata, le cui ferite raccontano ancora ricordi e aneddoti della guerra appena trascorsa. La storia viene incentrata nei sei mesi dell’anno 1953, in cui si snodano le vicende di marito e moglie alle prese con fantasmi del passato, giustificazioni, luoghi comuni e segreti rivelati, che sembrano mandare all’aria una macchina coniugale costruita anni prima, ben oliata, e da cui è anche arrivato un pargolo, Sonny, beniamino della famiglia. Come andrà a finire questo teso braccio di ferro? L’amore trionferà?
Questa è una storia di guerra. Non doveva esserlo, è cominciata come una storia d’amore, la storia di un matrimonio, ma la guerra le si è conficcata dappertutto come schegge di vetro. Non è la solita storia di uomini che vanno a combattere, ma di quelli che non ci sono andati: i vigliacchi e gli imboscati; quelli che hanno lasciato che un errore li sottraesse al loro dovere; quelli che hanno visto cosa li aspettava e si sono nascosti; quelli che hanno fatto una scelta e si sono rifiutati;
tratto da un passo del libro
2) IL PARAGRAFO DEL CUORE In questo libro ci sono davvero troppi paragrafi del cuore. Ho sottolineato molto, appuntato, cerchiato e via dicendo. Dovrei scrivere frasi infinite e non vorrei svelare troppi punti, che avete il diritto di scoprire da voi, man mano che leggete (piccolo spoiler: se volete qualche spunto/rivelazione, andate nelle stories in evidenza dell’account di ig… 😊). Ecco perché ho scelto come paragrafo del cuore proprio l’inizio del libro, perché era da tanto tempo che un incipit non mi sorprendeva a tal punto come in questo libro. Ne sono rimasta letteralmente affascinata, ma allo stesso tempo incuriosita. È stato come accendere un motore alla mia immaginazione e vorrei condividere questa emozione con tutti voi:
Crediamo tutti di conoscere la persona che amiamo. Nostro marito, nostra moglie. E li conosciamo davvero, anzi a volte siamo loro: a una festa, divisi in mezzo alla gente, ci troviamo a esprimere le loro opinioni, i loro gusti in fatto di libri e di cucina, a raccontare episodi che non sono nostri, ma loro. Li osserviamo quando parlano e quando guidano, notiamo come si vestono e come intingono una zolletta nel caffè e la guardano mentre da bianca diventa marrone, per poi, soddisfatti, lasciarla cadere nella tazza. Io osservavo la zolletta di mio marito tutte le mattine: ero una moglie attenta.Crediamo di conoscerli, di amarli. Ma ciò che amiamo si rivela una traduzione scadente da una lingua che conosciamo appena. Risalire all’originale è impossibile. E pur avendo visto tutto quello che c’era da vedere, che cosa abbiamo capito?Una mattina ci svegliamo. Accanto a noi, nel letto, il corpo familiare che dorme: uno straniero di tipo nuovo. A me è capitato nel 1953. Lì, a casa mia, ho visto una creatura che aveva la faccia di mio marito solo grazie a un sortilegio.Forse un matrimonio non si vede, un po’ come quei giganteschi corpi celesti che sfuggono all’occhio umano: lo si può monitorare solo in base alla forza di gravità, all’attrazione che esercita su tutto ciò che lo circonda. Mi sembra di doverlo scrutare così, il matrimonio, con tutti i suoi fatti nascosti, le parti segrete, perché finalmente mi si riveli, lontano, ruotando come una stella oscura.
3) DA LEGGERE SE… siete appassionati di storie familiari, di intrighi amorosi e di psicologia femminile (ma anche maschile)!
Pearlie è una donna sottomessa, ligia al dovere, rispettosa del marito e del figlio. Leggendo il libro, il suo ritratto appare chiaro: incarna il ritratto della donna degli anni ’50, ben disposta a sacrificarsi in nome della famiglia e a prendersi cura di casa e prole, senza che la fatica e la stanchezza gravino sulla sua mente e sul suo corpo. Mi sembra di vedere quelle pubblicità di una volta, in cui la donna è sempre intenta ad infornare o sfornare qualche torta o un buon pranzetto per il suo uomo. Non è solo questo però… la sua indole è mite, ma l’amore per suo marito Holland forte e duraturo nel tempo. La sua giovinezza è costellata dei ricordi dei loro incontri prima della sua partenza per la guerra, ed è davvero piacevole il modo in cui questi ricordi sono sparsi per le pagine del libro, regalando al lettore dei quadretti davvero romantici e che permettono di sognare e di immedesimarsi perfettamente. D’altro canto, invece il marito Holland è un personaggio ombroso, cagionevole di salute e debole, ma così bello, da non passare inosservato in nessun ambiente: dall’ospedale, in cui viene ricoverato durante la guerra, al quartiere appartato ai margini di San Francisco, dove si stabiliscono. Holland è descritto attraverso gli occhi di Pearlie, la quale distrugge spesso l’ideale che si era costruita negli anni del marito, ma che tenta in tutti i modi di salvarlo, per permettere alla sua concezione d’amore di prevalere su tutto ciò che è tenebra.
Ho detto che il dolore è rivelatore. A volte è quello che ci vuole per spezzare la solitudine, per aprire brevemente quella piccola finestra oltre noi stessi: la vita di qualcun altro.
tratto da un passo del libro
Il ruolo più eclettico è interpretato dall’amico di Holland, Buzz, un vecchio compare di guerra, che viene introdotto dopo poche pagine nella trama del libro, rendendo il ritmo movimentato fin da subito. Chi è Buzz? E cosa vuole da Pearlie e Holland? È questa la domanda che tormenta il lettore fino alla fine… e quanto è forte il legame che lega marito e moglie nel momento del bisogno? A questo punto devo svelare ciò che più mi ha colpito del rapporto di Pearlie e Holland: l’assenza di dialogo, l’assenza di un’intesa verbale durante tutti quegli anni passati a vivere il loro matrimonio e ad occuparsi dell’educazione del loro figlio Sonny. Pearlie dipinge Holland come un Dio, ma non si rapporta con lui in quanto uomo in carne ed ossa. Le loro conversazioni sono molto scarne, dando adito alla protagonista a continuare a vivere tra mille dubbi e congetture. Questo è il fulcro di tutto il romanzo, l’assenza delle buone parole, quelle che leniscono, quelle che mettono una toppa ad un problema, quelle che aiutano ad uscire dalle crisi…
[…] Mi ha guardata a lungo negli occhi senza aprire bocca – non sarebbe stato da lui pronunciare quelle parole -, ma sapevo dalla sua espressione che cosa voleva dirmi. Era quello di cui non avevamo mai parlato, quello che probabilmente mi voleva chiedere la sera dell’antiaerea lasciandosi sfuggire l’occasione. E questa era l’ultima che avrebbe mai avuto <<Dimmi se è questo che vuoi>>. […] Ma Holland non ha aperto bocca. Ha preso una scatola di fiammiferi dal taschino e mi ha guardata con un’espressione curiosa. Gli occhi gli si sono fatti grandi e la bocca gli si è piegata agli angoli, come una cosa lasciata sotto la pioggia, e nonostante tutto ho sentito l’impulso di correre da lui a consolarlo.
tratto da un passo del libro
Come qualcuno forse sa, non leggo qualsiasi cosa… i miei gusti sono difficili, non mi faccio impressionare dalla bella copertina o dal titolo sfizioso! Questo libro però mi ha ispirato soprattutto dal titolo. Ci sono momenti in cui i libri ti cercano e alla fine ti trovano. Penso che questo sia il caso di questa strana combinazione. Forse avevo bisogno di risposte o forse solamente di ispirazione!
Tuttavia, questo libro è entrato nella mia vita nel momento giusto! Spero che possa essere utile anche ai prossimi lettori che lo avvicineranno 😊
voglio raccontarvi un fatto, che mi è successo qualche settimana fa, durante uno dei miei giri per Torino. Quando ancora si poteva prendere i treni liberamente, quando ancora si potevano incontrare le persone senza limitazioni, quando ancora si utilizzavano i trasporti pubblici in tutta tranquillità. Sembrano passati mesi da quei giorni, ma in realtà sono solamente alcune settimane fa. Il panico non esisteva, la vita trascorreva routinaria e regolare. Non eravamo ancora stati chiamati a “sacrificarci per la patria” (se questo gesto di senso civico che il Paese ci invita a fare si può nominare “sacrificio”).
Vi dicevo, perciò, che mi trovavo a Torino. Un sabato pomeriggio, come tanti. A fine commissioni, avevo deciso di tornare a casa in pullman. Un po’ per rivestire i panni di un’antica versione di me-studentessa, un po’ per non gravare sempre sulla macchina, mezzo che (ahimè) utilizzo molto spesso!
Tento di “bippare” il biglietto, una volta salita sopra il bus n. 61.
Ah, dimenticavo di dirvi che a Torino non si oblitera più… no, no!
Si Bippa, fratello! 😊
Vedendo i miei vani tentativi di effettuare questa operazione, un simpatico signore, che, per tenerezza e amicizia soprannomino seduta stante “il-vecchietto-del-61”, mi sorride e mi dice candidamente “Per il momento non funziona quell’aggeggio… perché il pullman è fermo… appena il conducente mette in moto, riprovi… vedrà che funzionerà!”
Gli sorrido a mia volta e lo ringrazio. In tutto il bus l’unico che mi rivolge la parola, venendomi incontro è stato lui! Mi siedo allora, accanto al suo sedile, pensando a quanto il mondo ormai sia freddo, indifferente e menefreghista. Ogni passeggero è rimasto intento a guardare lo schermino del suo cellulare, travolto e ipnotizzato dal fascio di luce di un social network o di Google!
Nel frattempo che la mia testa impreca e maledice l’era dell’Egoismo 2.0, il-vecchietto-del-61 ricomincia il discorso.
Ciò che più mi ha affascinato è stato proprio l’inizio della conversazione.
“Lo sa… io ho avuto proprio una bella vita… una vita bella, fatta di momenti tanto, ma tanto felici… non posso rimproverare niente al Creatore!”
Che bello sentire parole simili! Che bello arrivare alla terza età e pensare di avere avuto una gran bella vita: guardarsi indietro e sentirsi fieri delle proprie decisioni, dei propri traguardi, del proprio vissuto. Quella frase mi ha riempito il cuore di gioia!
“Sono davvero delle belle parole, queste!”, ho subito replicato.
“Sono innamorato da 33 anni di una donna, una donna bellissima, sa? Dovrebbe vederla! …ma non ci siamo mai sposati… eh no… perché io sono uno spirito libero e non sopporto i legami, perché i legami ti dicono cosa devi fare, dove devi andare, no, no… non sono fatto per questo tipo di cose!”
Nel frattempo, il pullman è partito ed io sono riuscita finalmente a bippare il biglietto.
Così, il-vecchietto-del-61 mi chiede timidamente se potesse tenermi compagnia fino alla fermata, in cui sarei scesa. Accetto con molto piacere! Adoro ascoltare le storie delle persone di una certa età: trovo sempre qualche lezione da imparare, scovo suggerimenti, belle morali, consigli e soprattutto aneddoti piacevoli e, a volte, anche divertenti.
Quindi, il-vecchietto-del-61 prosegue il suo racconto.
“La mia signora è sempre stata bella… anche ora, che non è più giovane… ha i capelli biondi, gli occhi color del cielo… si veste sempre con dei tailleur sobri, eleganti. Porta sempre una collana di perle e i capelli raccolti con uno chignon… è davvero una bella donna…”
Come è estasiato, mentre descrive questa signora. Mi racconta che il loro rapporto è sempre stato da subito burrascoso, per via del suo carattere, per il fatto che ha messo in chiaro fin dal principo, che la sua vita non è fatta per sposarsi. La signora però, ha sempre rispettato le sue scelte, non facendogli mai pressioni di alcun tipo. Hanno due case distinte, ma in alcuni periodi avevano vissuto insieme.
In altri, lontani.
Poi, si erano riuniti.
Insomma, era come guardare una fiction da un milione di puntate, come “Beautiful”!
Quanto è strano l’amore. Quanto molteplici sono le sue sfaccettature. Come cambia forma nel tempo. Come resiste ai mutamenti, adeguandosi, smussandosi. Ruota su stesso, andando avanti nel tempo, ma riproducendo luci ed ombre continuamente diverse, come le faccette di un diamante.
“…anche se in questo momento… siamo un po’ arrabbiati…. Anzi, più precisamente, è lei arrabbiata con me… abbiamo litigato l’ultima volta, per causa mia… ormai sono passati almeno 6 mesi da quella volta là…”, mi disse, cambiando subito espressione del viso, rispetto a quando la stava descrivendo fisicamente.
Gli chiedo allora, “Quindi, non vi vedete da quell’ultima volta lì? E come mai l’ha fatta arrabbiare?”
“Eh… colpa del mio pessimo carattere… troppo lungo da raccontare… ma la scorsa domenica l’ho chiamata… le ho chiesto se potessimo vederci e, per fortuna, mi ha detto sì… sono davvero felice, è troppo importante per me!”
Il-vecchietto-del-61 cambia espressione un’altra volta, mentre ripensa a “quel sì”, così sperato, così atteso, poi mi fissa negli occhi e continua a raccontare:
“Sa… perché mi sono messo a parlare con lei? Mica è così frequente di questi tempi che qualcuno ti ascolti… nessuno ha più tempo per nessuno… nessuno ha più tempo per ascoltare o per parlare… Ho scelto lei, perché lei mi ha sorriso… Si ricordi che nella vita bisogna sempre sorridere, sempre! Se si sorride, la vita è bella. Se si è sempre con il muso, la vita sarà sempre una grande tristezza… e non una Grande Bellezza… l’ha visto il film, no? …ecco, bene! Lei continui a sorridere, sempre così, come ha fatto con me ora… e vedrà che le capiteranno solo cose buone!”
Si ferma un attimo. Poi mi dice ancora:
“Si ricordi queste parole, che le dico adesso… Vuole sapere qual è il segreto per vivere a lungo… il buon umore, cara ragazza mia! Il buon umore! Non c’è nient’altro da sapere! Non serve girare mille stati, leggere miliardi di libri… per carità se può farlo, lo faccia, perché è comunque utile alla sua testa, ma non ci sono altri antidoti… l’unico antidoto segreto è il buon umore! Se lo ricordi, eh!”
Ci sono dei momenti in cui mi chiedo se gli incontri con alcune persone non sono scritti da qualche parte… che ne so: un enorme libro degli incontri, una specie di enciclopedia che ci tiene tutti connessi nel Sistema Solare e oltre…
Sembra quasi che proprio in quel giorno, in quella precisa ora, avessi dovuto incontrare il-vecchietto-del-61!
Perché?
Perché doveva dirmi queste cose? Perché doveva farmi ricredere su altre? Perché doveva regalarmi un altro punto di vista?
Ci sono tanti perché, a cui dare una risposta.
Tante le possibilità che possono celarsi dietro ad un incontro simile.
Fatto sta che doveva capitare. Le nostre strade dovevano incontrarsi, anche solo per mezz’ora di tragitto di pullman.
“Io ho 85 anni, lo direbbe mai?”
“Proprio per niente, ne dimostra dieci di meno!”, ribatto subito, non nascondendo il mio stupore. Se li portava davvero bene!
“Mi creda è proprio bello arrivare a questa età… guardarsi indietro e vedere che tutto è andato come doveva andare… mi creda, è davvero bello… ed è anche sorprendente sapere che c’è qualcuno che ti ama ancora e che ci tiene a te!”
Parlare con il-vecchietto-del-61 mi ha davvero aperto una finestra differente, rispetto a quella canonica, alla quale mi affaccio io tutti i santi giorni.
Si può arrivare a 85 anni e avere “un’amica” innamorata, un rapporto d’amore, che dura nel tempo, ma che non è quello che ci si aspetta da un uomo e una donna di quella fascia di età. Si può essere felici, anche senza seguire i Dieci Comandamenti della vita moderna, ovvero anche senza sposarsi o convivere o costruire la stessa capanna.
La lezione è sempre questa: basta essere felici, basta sorridere, basta essere fieri delle decisioni, che si prendono durante la vita. Non importa se si va controcorrente, l’importante è che si è contenti di farlo.
Così a 85 anni ci guarderemo indietro e saremo anche noi contenti, proprio come il-vecchietto-del-61!
è arrivato il momento dello sfogo “anni-90-style”! Contenti…?
Premetto che se non siete amanti dei vecchi tempi e del mood malinconico generazionale, astenetevi dalla lettura di questo post! :p (scherzo…)
Stamattina sono stata avvolta proprio da quel tipo di sensazione, che il più delle volte chiamiamo con l’espressione inglese, scorrettamente utilizzata “depression”!
Ero in macchina. Guidavo, percorrendo la stessa strada, che faccio tutti i giorni per recarmi in ufficio. Mi ritengo una persona molto standardizzata, perché i passaggi che compio tutte le mattine appena entro in macchina sono sempre gli stessi:
1. Attivare il bluetooth sul cellulare
2. Digitare su Youtube la prima canzone che mi passa per la testa
3. Posizionare il cellulare nel porta-oggetti vicino al cambio
4. Alzare il volume della macchina (che nel frattempo si è connessa con il bluetooth del cellulare)
5. Mettere in moto e partire verso l’autostrada
La canzone selezionata per questa mattina piena di sole è stata “Could It Be Magic”, la cover dei Take That (non quella original della nostra amata Donna Summer, già questo potrebbe esservi utile come indizio…), dove un Robbie Williams con i capelli alla Danny Zuco di Grease intona divinamente il pezzo e gli altri quattro componenti della boyband si scatenano in acrobazie e dirty dancings (andate a rivedervi Mark Owen…).
Take That, Could It Be Magic, Greatest Hits
La strada scorre, la musica anche: l’ascolto prosegue con altre canzoni dei Take That, qualche cosa di Robbie e poi… Youtube magicamente introduce le prime note di “Calling” di Geri Halliwell.
È solo un attimo, ma… non mi trovo più nella mia macchina, che mi sta portando a lavoro… no! Mi ritrovo nel salotto di casa dei miei genitori, a guardare TRL su MTV dopo scuola. In TV il video di Geri, che intona un melodiosissimo
“Calling out your name… Burning on the flame… Playing the waiting game… In my calling… In my calling…”,
mentre, con addosso solamente un maglione nero oversize,guarda nella videocamera ammiccando e rotolandosi sul prato.
Che stupida sensazione! Quella canzone mi riporta velocissimamente alla mente ricordi di scuola, pomeriggi passati a osservare alla tv nella speranza di intravedere qualche volto conosciuto: magari un amico o un’amica, intenti nel tenere sollevati i cartelloni “FATECI SALIRE!!!” sotto gli studi di TRL in Piazza Duomo a Milano.
Mi torna in mente la voce di Marco Maccarini e i suoi commenti tra l’ironico e il piacione nei confronti di Geri e la semplicità di Giorgia Surina nel fornirgli la spalla per condurre il programma.
Mi ridesto in fretta ed è inevitabile il classicone che mi scorre davanti come un messaggio led sul monitor “…sembra solamente ieri… eppure…”. Eppure, sono passati un po’ di anni dai primi anni del 2000.
Eccolo il momento “depression”, già di prima mattina! Proprio oggi che lo spuntare del sole a rendere bella tersa la giornata mi aveva dato un po’ di carica!
È pur sempre bizzarro però, come alcune canzoni di quegli anni riconducano a delle percezioni così vive ancora dentro noi stessi.
Non ho voluto fare ricerche online (sennò non valeva!). Sono andata a spulciare tra i ricordi, ascoltando qualche cosa di quel periodo, e credetemi (provateci anche voi): vi verranno sicuramente in mente alcune delle canzoni, che passavano spesso in trasmissione su TRL e che scalavano ogni puntata la classifica, grazie soprattutto agli SMS degli studenti “dell’epoca” inviati al canale tv!
Ecco qui la mia lista! Vorrei sentire quanti sospiri ed espressioni di stupore farete nel leggerla:
Jennifer Lopez – Love don’t cost a thing
Linkin Park – In the end
Usher – Yeah
Ricky Martin feat. Christina Aguilera – Nobody wants to be lonely
Alice Keys – Fallin
Britney Spears – I’m a slave for you
Eminem feat. Dido – Stan
Avril Lavigne – Complicated
Back street boys – The call
50 Cent – In Da Club
Destiny’s Child – Survivor
Bon Jovi – It’s my life
Nelly feat. Kelly Rowland – Dilemma
Tiziano Ferro – Perdono
Michelle Branch – Everywhere
… ce ne sarebbero tante altre… se avete voglia scrivetemele tra i commenti! Qual è la vostra playlist dei primi anni 2000?
Il punto su cui volevo soffermarmi è proprio questo: per chi come me ha vissuto in quegli anni l’adolescenza, credo che faccia fatica a non notare la differenza dal punto di vista musicale di quello che c’è a disposizione attualmente rispetto a quello che avevamo in quel preciso periodo lì. A parte la musica, la quale inevitabilmente cambia durante gli anni e può piacere di più o meno rispetto a prima, l’offerta di coinvolgimento del “pubblico-pagante” nei confronti degli artisti, che lavorano per farci divertire è, secondo me, più scadente.
Ora abbiamo a disposizione molti più mezzi per intrattenerci e per essere connessi 24 ore su 24 ore al nostro beniamino musicale, ma “quando andavo a scuola io” forse (dico forse, perché questa è una mia opinione personale) i momenti di partecipazione erano sicuramente minori, ma d’altra parte più vissuti, più seguiti. La concentrazione era al 100%, perché avevi a disposizione quell’oretta o poco più per immergerti completamente nella nuova hit, piuttosto che nell’apprendere di più del nuovo album in uscita. Concluso TRL o, mi vengono in mente programmi come Top of the Pops, Festivalbar e via dicendo, rimaneva il cd, la musicassetta, il giornalino con qualche articoletto e la radio, a consolarci nell’attesa di una nuova apparizione. Forse è per quello che oggi mi è presa tutta questa nostalgia? Forse è per questo motivo che oggi ho desiderato portare indietro le lancette dell’orologio, per tornare solamente per un pomeriggio ad assaporare tutto quello che TRL significava per noi, adolescenti degli anni 2000. Più trascorrono gli anni, più, oltre ad invecchiare :p, mi rendo conto che non sempre avere tanto, avere tutto, significhi avere la felicità assoluta. Inizio a rendermi conto che, ciò che si guadagna, impiegando più fatica ed impegno, è ciò che regala più godimento e appagamento.